Esser docente nell’era covid

Mentre fuori da mesi scorrono parole su scuola sì, scuola no, su presenza o distanza, noi dentro, dentro questo spazio qui, da mesi lavoriamo insieme, docenti e studenti. Le posizioni si polarizzano e intanto la realtà accade, giorno dopo giorno, oltre i discorsi, perché ogni giorno si va avanti, nonostante restrizioni e zone colorate. E allora ci sono le sensazioni dei giorni e delle settimane passate in questo ‘riquadro’, con i miei studenti, la nostra aula, sì perché giorno dopo giorno, dal primo giorno di lezione, lo è diventata via via sempre di più e pienamente. E’ il ‘nostro’ spazio, ci ritroviamo la mattina con i ‘buongiorno!’ che si succedono, si accavallano e tanti volti che si attivano sullo schermo. Ci riconosciamo. E poi iniziamo: discutiamo, leggiamo ad alta voce dai libri d’esame, ci guardiamo insieme materiale online. Ad un certo punto non so dove sono, nel senso che dimentico il computer, lo schermo, la stanza della mia casa: sono lì dentro, con loro, ed è un luogo, condiviso, digitale o analogico (e non uso ‘reale’ perché sono entrambi reali) non fa più differenza. Siamo insieme lì in decine e decine ogni volta, tutti Università RomaTre, e contemporaneamente connessi da tanti paesi e città diversi. Qualche lezione fa ho chiesto in quale regione stesse entrando la mia voce, da quale paese d’Italia arrivasse la luce della stanza dello studente che stava intervenendo. Mi sono fatta dire da ognuno il nome preciso del paese, la provincia e la regione, me lo hanno scritto in chat. Campania, Sicilia, Puglia, Abruzzo, Sardegna, insomma mezza Italia, tantissimi paesi, alcuni nomi non li avevo mai sentiti. Le ragazze e i ragazzi si auto-organizzano e si rivedono lì nuovamente dopo la lezione per lavorare in gruppo. Aggiungono i loro in whatsapp e si scambiano materiali, informazioni, consigli. Sono una ‘classe’ nel senso proprio del termine, né meno né più (o forse più?) che se ci vedessimo in un’aula di pareti di pietra e cemento. Prendono la parola a lezione e non so quanto quelle stesse studentesse e studenti l’avrebbero fatto dal ‘vivo’. Me lo chiedo sinceramente, non ho risposta. E poi mi scrivono email lunghissime in cui mi raccontano come stanno lavorando, fanno associazioni interessanti tra la lezione e loro letture, mi condividono vissuti ed esperienze. C’è contatto, c’è prossimità, lavoriamo bene. Sento questo.