In: “Amaltea. Trimestrale di cultura“, Anno IV, n. 2/2009.

“Questo racconto è innanzitutto una storia di anima e di carne. Un amore che si dichiara, spesso crudamente, che non tiene conto di alcuna morale, salvo quella del cuore. Attraverso queste righe, mescolanza di sperma e preghiera, ho tentato di abbattere le barriere che oggi separano il celeste dal terrestre, l’anima dal corpo, la mistica dall’erotismo. Solo la letteratura possiede l’efficacia di un’arma fatale. Ne ho quindi fatto uso. Libera, brutale ed esultante. Con l’ambizione di ridare alle donne del mio popolo quella voce che è stata loro confiscata da padri, fratelli, mariti. Un omaggio all’antica civiltà araba, in cui il desiderio si manifestava persino nell’architettura, in cui l’amore era esente da peccato, in cui godere e procurare godimento era un dovere del credente.
Alzo queste parole, come si alza un bicchiere, alla salute delle donne arabe, per le quali riconquistare la parola confiscata sui loro corpi significa essere a metà strada del percorso risanatore dei propri uomini”.

Il senso profondo del romanzo è racchiuso in questo prologo che Nedjma, come si fa chiamare l’autrice, scrive prima di lasciar posto alla voce narrante di Badra, la protagonista de La Mandorla

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