Le parole della differenza
Editoriale, in: “Amaltea. Trimestrale di cultura”, Anno IV, n. 2/2009
La democrazia si fonda sulla libera adesione degli uomini al criterio di reciprocità e si nutre di solidarietà civica, che è processo di coordinamento dell’agire tra tutti i membri di una collettività, attraverso valori, norme e soprattutto discorsi orientati all’accordo.
Il coordinamento ai fini dell’accordo è cosa difficile, complessa, nel pluralismo e nelle differenze. Il pluralismo chiede di imparare a porre le proprie convinzioni in un rapporto riflessivamente comprensivo con il pluralismo medesimo, ci dice Habermas, muovendoci non solo nel nostro legittimo interesse, bensì indirizzandoci al bene comune.
Lo spazio entro cui far co-abitare ed interagire le differenze è il discorso. Il discorso è la dimensione che giustifica e motiva quella che Habermas chiama la presunzione di ‘accettabilità razionale’ dei risultati a cui il discorso stesso può far pervenire.
Il discorso è insieme spazio di esercizio della differenza e presupposto metodologico della sua praticabilità. Ne deriva un obbligo morale di giustificare, nei consessi pubblici, gli uni agli altri, in che senso le proprie scelte possano essere suffragate dai valori della pubblica ragione, ed essere così universalmente accettabili. Vuol dire disponibilità ad ascoltare gli altri ed equanimità nel decidere quando sia ragionevole aderire alle loro opinioni.
Ciascuno porta nel discorso pubblico ragioni che hanno fondamento nel proprio orizzonte di significato, nella propria dottrina religiosa o nel proprio sistema di valori e convincimenti e nonostante ciò si dà nella prospettiva della sua universalità potenziale.
Ognuno di noi, nel discorso che intesse con l’altro, porta se stesso.
Non potrebbe essere altrimenti.