Il gioco del libro
Ada Manfreda, Il gioco del libro, in “Il Paese Nuovo”, Culture p. 4, sabato 27 aprile 2013
Arrampicarsi lungo il tronco di un albero, salire su, tra i suoi rami, trovarne uno ben comodo su cui sedersi. Con sé un libro e un bicchiere di vetro con tante palline colorate dentro. C’è il giallo, l’azzurro, il rosso, il verde. Palline di caramella. Stare lì, con le foglie che ti proteggono dall’altrui sguardo e lasciano filtrare il sole a fili intermittenti. Disegnano forme scure sulle pagine bianche che hanno preso a scorrere.
Le palline colorate si deformano, si espandono.
Inseguire le parole nere d’inchiostro, una dietro l’altra, ora piano, ora veloce, poi fermarsi a vederle; e poi vederne delle altre, che non sono scritte ma che quelle scritte hanno convocato. Parole-immagini che insegui, che ti inseguono. Giocare a sottrarsi e a darsi.
Nel bicchiere infine solo macchie di colore liquide che si versano l’una nell’altra.
Questa è la prima pagina del libro di lettura della prima elementare.
Bello, penso, anch’io!
Ecco l’inizio.
Pomeriggi di bambina, seduta accanto alla madre, vicino ad una grande finestra di casa, quella che dà sulla strada. La madre lavora a maglia. La bambina legge un libro che tiene poggiato sulle ginocchia. Giungono in casa, dalla strada, le grida ovattate di bambini che giocano: tra il frastuono di voci la bambina distingue quelle dei suoi fratelli. Sono vicini e ugualmente lontani.
Sono lontani da qui, dalle file di parole nere lette, che ti portano sull’albero.
Da qui le cose sembra che possano essere diverse.
Da qui, dopo molti personaggi, luoghi, storie, ho incontrato Marguerite. Corrispondenza d’amorosi sensi è stata subito tra noi. Parole incarnate le sue: mi hanno riportata alla terra, alla materia delle emozioni, al corpo della scrittura. Sono scesa dall’albero. Dalla sua scrittura ho visto per la prima volta veramente quella madre. Il suo amore intransitivo, il sottofondo di disperazione che colora le sue carezze, l’ossessione per una diversità che ricaccia tutto in un luogo irraggiungibile, l’impossibilità che trasudano le sue parole d’affetto. Ho visto il nostro sentirci figli cattivi e colpevoli per tutto questo. Ingiustamente. In realtà incolpevoli, contenitori di un dolore insensato e troppo grande per noi di allora. Anche per noi di oggi.