Inquadrature
Editoriale, in “Amaltea. Trimestrale di cultura”, Anno V – n. 03, settembre 2010.
Si può imbellettare uno scenario di spiaggia e mare deturpato, facendolo vedere per come non è, tagliando fuori i particolari scomodi. Basta un’inquadratura opportuna per cancellare lo scempio. Ma ancor più, si può costruire un’inquadratura nell’inquadratura, che disvela lo scempio e riflette contemporaneamente sullo statuto dell’inquadratura, sul suo potere: di velare, di svelare e ancora di svelare il suo potenziale di velamento.
Inquadratura: ovvero decontestualizzazione di un frammento di realtà dalla realtà. Interpretazione, o re-interpretazione. Immaginazione emergente dalla realtà, e da essa dettata, quasi, all’inquadratura.
È taglio, separazione di qualcosa da qualcos’altro.
Inquadrando individuo una demarcazione tra un dentro e un fuori, traccio dei confini, sottolineo differenze. Costruisco significati. Inquadrare è dare senso. O esserne raggiunti un attimo dopo: ci si può sempre sorprendere del senso inaspettato che si è trovato senza averlo cercato.
Il potere dell’inquadratura. Il potere di far esistere ciò che voglio, grazie a ciò che metto dentro e a quello che lascio fuori. Il potere anche di far vedere l’invisibile incorniciando il visibile, un suo particolare angolo prospettico, un suo elemento, porte di accesso ad un ulteriore, a quello che lo sguardo vede non con gli occhi. Una bella inquadratura è quella che riesce a trovare e isolare le porte di accesso al senso. Inquadrare e narrare…