Quando arrivammo, la festa era già cominciata. Vi era un gruppo di cinque giovani, in mezzo alla sala, circondato da tutti i presenti, che ballavano. Mi colpì immediatamente il sound, molto singolare. Una miscela assolutamente insolita di suoni ancestrali, quali quelli della nostra tarantella e complicati ritmi giamaicani… I giovani che cantavano … sembravano posseduti dalle loro stesse parole. Cantavano e si dimenavano come invasati, e quell’energia che percorreva i loro corpi si trasmetteva agli astanti… Il gran frastuono dei suoni, la straordinaria varietà dei ritmi, il quasi buio della sala, il danzare frenetico di tutti, mi faceva sentire euforico… si stava compiendo una contaminazione ardita delle tradizioni… una loro profanazione…Scorie, resti, residui della tradizione locale si coniugavano con i cocci del variegato mondo elettronico, realizzando una imprevedibile esogamia culturale… I ritmi giamaicani copulavano col dialetto leccese, si incrociavano con brandelli di antiche melodie salentine. Mi pareva di esser capitato in un laboratorio di giovani, diabolici alchimisti.

Salvatore Colazzo, La dolcezza dei seppelliti (romanzo), 1992, Erreci Edizioni, Maglie, collana “I Mascheroni” diretta da Antonio Verri

E’ di questi giorni l’uscita del primo numero di Melissi, rivista semestrale dell’Istituto “Diego Carpitella”, qui recensita in anteprima: chi volesse acquistarne una copia dovrà infatti attendere “La Notte della Taranta – 1999″ del prossimo 24 agosto, serata in cui la rivista verrà distribuita con allegato in omaggio il Cd audio della registrazione live del concerto dell’estate scorsa (prezzo al pubblico L. 20.000).
Come già abbiamo anticipato in un precedente articolo apparso sulle colonne di questa testata, quello della rivista era un progetto in cantiere oramai da diversi mesi, pensato soprattutto come strumento di documentazione ed approfondimento dell’evento annuale “La Notte della Taranta”: volendosi porre sistematicamente, con l’uscita di due numeri all’anno, prima e dopo lo svolgimento di ciascuna edizione, ha l’intenzione di essere di volta in volta momento di riflessione e di consuntivo dell’edizione appena svoltasi, ovvero di anticipazione e di informazione su quanto riserverà l’edizione successiva.

La rivista si pone “sulla scia di suoni e parole” che l’evento “con i suoi suoni notturni così familiari eppure così inaspettati” ha suscitato, pur non essendo il primo tentativo – osserva Gianfranco Salvatore – fatto nel Salento di riflessione sul rapporto tradizione-modernità, sulla dialettica continua passato-presente e sulle ibridazioni che da essa scaturiscono.

In effetti già nel 1991 veniva pubblicato il volume “…e lu sule calau calau” di Salvatore Colazzo, Eugenio Imbriani e Luigi Mengoli, una raccolta di canti tradizionali salentini reperiti dal Mengoli, accompagnati da una riflessione di Imbriani attorno alla ricerca folclorica e ai suoi metodi e da un saggio di Colazzo dal significativo titolo ‘Rap e tarantelle’, in cui egli esaminava il modo di vivere la tradizione musicale da parte delle nuove generazioni, sempre più influenzate dalle proposte culturali veicolate dai media elettronici. “Media e tradizioni” è il titolo di un altro saggio scritto a quattro mani da Eugenio Imbriani e Salvatore Colazzo, sempre sui temi del folclore, della tradizione e del suo rapporto col nuovo, pubblicato in S. Colazzo, Sonde. I media, la cultura, l’arte, nella civiltà postmoderna dalla casa editrice salentina Madona Oriente nel 1992.

E ancora è del 1996 un progetto multimediale dell’Associazione Culturale “Arte e Musica” di Melpignano, accolto e finanziato dall’Unione Europea, dal titolo “Il Salento: la vita, la morte. Pensare ed esprimere una identità culturale”, a cura di Cosimo e Salvatore Colazzo, che compie una rivisitazione dell’immaginario della possessione e della transe, assolutamente non in chiave realistica e rappresentativa, ma evocativa e “visionaria”, tracciando un percorso dal tarantismo agli analoghi riti di possessione sparsi per il mondo. Il progetto è esitato in uno spettacolo di teatro-musica per 50 percussioni, due voci narranti e una danzatrice, che ha avuto scarsa diffusione nei circuiti locali salentini ma diverse rappresentazioni al di fuori della provincia, e nella pubblicazione di un Cd-audio (AM 1001 DDD).

Allora l’attuale grande attenzione e discussione rilevata da Gianfranco Salvatore per questi eventi, testimonia forse un’avvenuto cambiamento nella cultura e nella sensibilità diffusa, quasi che solo ora siano giunte a maturazione quelle condizioni socio-culturali che stanno determinando questa forte presa sul pubblico delle tematiche e delle espressioni legate ai fenomeni ed alle operazioni di rivisitazione della tradizione e di ‘contaminazione’ tra vecchio e nuovo.

Luogo di riflessioni in tal senso vuole essere la rivista “Melissi”, il cui primo numero propone una serie di interviste e commenti da parte dei protagonisti dell’edizione 1998 de “La Notte della Taranta”, per poi fornire tutta una serie di notizie, informazioni e curiosità su come all’Istituto Carpitella si sta lavorando per allestire l’evento di quest’anno, chi saranno i protagonisti di questa nuova edizione, il loro profilo artistico, il programma della manifestazione.

La prima sezione della rivista vuole essere dunque una sorta di bilancio dell’edizione scorsa, fatto attraverso le riflessioni di chi vi ha preso parte attivamente, vale a dire i musicisti, e le impressioni di personaggi “esterni” all’evento, ossia gli spettatori, anche se non si tratta di spettatori qualsiasi, a cominciare dal Presidente della Provincia Lorenzo Ria, fino al regista Mario Martone, ospite a sorpresa di quella serata.

Dalle interviste fatte da Francesco Spadafora ai musicisti emerge una sostanziale convergenza sull’idea che la manifestazione sia stata stimolante e ricca di spunti – ad eccezione di Daniele Durante che non ritiene di aver ricevuto nulla dall’esperienza -, sebbene a detta di molti il workshop, vale a dire le giornate di lavorazione che hanno preceduto il concerto, è stato luogo di tensioni, contrasti e scarsa collaborazione tra i diversi gruppi salentini di musica popolare. C’è addirittura chi non ha esitato a definire il workshop un ring “perché ci sono stati dei contrasti fra noi musicisti ‘duri e puri’ sul modo di fare musica nel Salento. Devo dire che non abbiamo avuto molto tempo per produrre un suono e delle rielaborazioni dei testi veramente nuove, in quanto tre giorni sono insufficienti. (…) Nel complesso, la partecipazione dei musicisti salentini a questa iniziativa non è stata all’insegna della professionalità, perché le esigenze personali hanno influito sulla qualità del lavoro” – riferisce il musicista Claudio Giagnotti dei “Mascaramirì” -, mentre per Giuseppe Ciancia degli “Avleddha” il neo della manifestazione è stato la totale “assenza di selezione nei confronti dei musicisti”.

Tutte osservazioni a cui Gianfranco Salvatore ha sicuramente prestato molta attenzione se nella breve introduzione che precede queste interviste ai musicisti, prospetta come via percorribile per le future edizioni de “La Notte della Taranta” la selezione dei partecipanti, precisando che non sarà “di tipo qualitativo o gerarchico, naturalmente, ma consapevole del grado di affinità o compatibilità del loro approccio musicale con l’orientamento musicale della serata, ogni anno diverso. (…) Ci preoccuperemo, naturalmente, di curare un certo ricambio ‘a rotazione’ da un’edizione all’altra”. Salvatore sottolinea tuttavia come “La Notte della Taranta” vuole essere un’operazione di riflessione non già, o non necessariamente sui musicisti salentini, quanto piuttosto sulla musica del Salento, “di cui i musicisti sono portatori e depositari”.

Scopo questo assolutamente legittimo per lo studioso, non così altrettanto nettamente o esclusivamente per il politico, che tale iniziativa finanzia e sostiene, il quale crediamo debba anche funzionalizzare le proprie risorse finanziarie investendo nella potenziale ricaduta di immagine e promozione degli artisti locali che un evento come la Notte della Taranta ha indubbiamente in sé, divenendo momento propulsore di energie, risorse e capacità umane, di cui la nostra terra è piena e che quasi sempre finisce per avvolgere nell’ombra perché ancora priva degli elementi strutturali, politici ed economici idonei a valorizzare veramente queste sue ricchezze, a cui peraltro tanti, oramai, ‘non-locali’ cominciano a dimostrare una significativa attenzione.

Più oltre, nella rivista, si legge che La Notte della Taranta avrà quest’anno come maestro e direttore d’orchestra Piero Milesi, un musicista italiano, nato a Milano nel 1953, un musicista “di frontiera”, un musicista non-allineato – come lo definisce Riccardo Giagni nella sua accurata scheda bio-bibliografica – “sin dal singolare curriculum studiorum (…). Nella Milano vitale e impegnata della metà degli anni Settanta Piero partecipa ad alcune esperienze musicalmente indicative di quel clima di ‘frontiera’, ma alla fine del decennio è già alle prese con le prime composizioni minimaliste… e poi le musiche d’ambiente ‘per fuochi d’artificio’, per ‘quaranta zattere musicali’, per ‘venti grappoli di palloni aerostatici’. (…) Fabrizio de André e Mauro Pagani gli affidano arrangiamenti, orchestrazione e direzione d’orchestra dell’album Le nuvole. Nel ‘93 è la volta del grande progetto romano Fiume di musica che, con la regia di Daniele Abbado, porta a ritroso sul Tevere tre enormi battelli musicali a dialogare con le campane delle chiese capitoline, i rumori della città intasata e i fuochi pirotecnici di Valerio Festi lungo il percorso, fino al concerto finale tra sponda e fiume”.

Sembra proprio che le premesse per una serata singolare de “La Notte della Taranta 1999″ vi siano tutte.

A chiusura della rivista Maurizio Agamennone ripropone una parte della lunga intervista rilasciata da Diego Carpitella nel 1989, un anno prima della sua morte, e pubblicata in quello stesso anno dalla rivista SuonoSud (rivista trimestrale di culture musicali, n° 4, ottobre 1989, pp. 18-41), “una sorta di testamento spirituale, una autobiografia programmatica”, ci suggerisce Agamennone. Nell’intervista Carpitella sottolinea chiaramente il ruolo fondamentale che ha avuto la musica e l’attenzione rivolta ad essa nell’evoluzione degli studi etno-antropologici: “In definitiva il salto di qualità si è determinato solo quando la musica è stata considerata coessenziale all’evento, e non complementare”, egli spiega, e ancora più avanti, a proposito del suo incontro con Ernesto De Martino: “De Martino si esprimeva più o meno così: ‘Tutte le volte che io vado giù, succede che ad un certo punto cantano, non so perché… Faccio una domanda, chiedo qualcosa … e all’improvviso la gente non parla più in risposta alle mie domande: prende e canta. E’ un fatto che mi sorprende molto’ (…); praticamente la sua richiesta era: ‘Io ho bisogno di sapere almeno che cos’è quest’oggetto sonoro che spunta dappertutto, come mai mi capita sempre di trovarmelo davanti’. In effetti, era naturale che capitasse sempre, perché come oggi è assodato, nella mentalità e tradizione orale l’espressione e la comunicazione sono frequentemente formalizzate in una veste sonora e musicale. Comunque fu proprio in questa chiave che mi propose di partecipare a quella prima ricerca che cominciò il 30 settembre del 1952 e durò per un mese, in Lucania”.

(Grecìa del Salento-il Corsivo, n. 31-32/1999, pp. 15-16)