Un grande rimosso dei nostri tempi è certamente la morte, un argomento eluso, esorcizzato, di cui non si parla, di cui non si fa educazione ed autoeducazione. Roberto Maragliano nel suo ultimo saggio, Pedagogia della morte, affronta questo tabù, proponendo una interessante analisi del perché di questo rimosso e sottolineando la necessità che la pedagogia e le pratiche educative pongano in essere luoghi/percorsi entro cui sia possibile elaborare un senso della morte dentro la vita. Ce ne parla in questa puntata di Arianna.
Roberto Maragliano si occupa, in chiave mediologica e antropologica, dell’incidenza che le tecnologie della comunicazione hanno su definizione, gestione e rappresentazione delle pratiche educative. L’attività di ricerca e formazione che svolge presso l’Università Roma Tre, è documentata sul sito Laboratorio di Tecnologie Audiovisive. Tra le sue più recenti pubblicazioni: Parlare le immagini. Punti di vista, Milano, Apogeo, 2008; Educare e comunicare. Spazi e azioni dei media (cura con Alberto Abruzzese), Milano, Mondadori Università, 2008. In formato ebook: Adottare l’e-learning a scuola, Roma, Garamond, 2011; Immobile scuola. Alcune osservazioni per una discussione, Milano, Castello Volante, 2011; Storia e pedagogia nei media (con Mario Pireddu), Roma, Garamond, 2012.
Pedagogia della morte (Doppiozero, 2012). La pedagogia più importante è quella che affronta le cose che non si possono insegnare.  Che non sipossono: perché ci sono divieti, ostacoli, resistenze, anche interiori; insegnare: perché la loro esperienza è talmente intima e personale che si tende a crederla indicibile, incomunicabile, oscena. Eppure qualcosa si può fare, qualcosa passa; e soprattutto qualcosa si può imparare: a esprimerlo e a condividerlo. La morte è il primo di questi argomenti tabù. Oggi che la società ha rimosso il problema, rinunciando a qualsiasi tentativo di elaborarlo, una pedagogia della morte è urgente e indispensabile.